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Gianfranco Schialvino

Enarmonie

Anticamente l'arte era mestiere. L'artista cresceva nella bottega dell'artigiano, ne apprendeva i segreti e le regole, li coniugava con l'istinto e la bravura infondendo nei precetti dei canoni le proprie intuizioni narrative, trasfigurava il lavoro elevando la materia ad etica e poesia. Oggi l'arte esalta l'autonomia dell'idea, del concetto, del progetto demandandone la realizzazione pratica alla macchina: che sia un crogiuolo di fonderia o il plotter di un computer non importa. E' dunque non soltanto raro, ma altresì sorprendente, scoprire un'artista come Giovanna Monaco Magaddino, che da sempre inventa e traduce, prima in linee ed infine in articolate soluzioni compositive con effetti indubbiamente pittorici, emozioni ed intenzioni, macerate e distillate nell'armonia universale del numero e nella logica della ragione.

 Né è estraneo a questa peculiarità l'apprendimento alla scuola di Italo Cremona, e la possibilità di liberi e preziosi esperimenti : sia sul piano delle materia, sia su quello dell'invenzione stilistica ; nella scia di Depero e del secondo futurismo; ma soffusa anche di arbitrari giapponesismi ed esotismi aformali. Mi vengono spontanei alcuni collegamenti all'arte egizia, dove la linea che delimita la figura veniva incisa nel legno e nell'intonaco, e creava spazi definiti ed autonomi da colmare col colore, steso piatto ; a quella bizantina, del mosaico e del cloisonné, che scomponevano l'insieme in settori ; fino all'esaltazione della decorazione, legata o no all'insieme, ma ad esso indispensabile, che nella Vienna della secessione percorreva pittura e architettura. Tutte queste esperienze sono unite ad uno stesso filo conduttore : la frammentazione della figura e la successiva aggregazione e ricomposizione. Ed è ancora un richiamo a concatenarle : il disinteresse alla mimesis, intesa come pedissequa imitazione, per priviliegiare l'identità del significato, dell'icona, del messaggio. Dell'idea, insomma. A questi riferimenti fa capo il percorso di Giovanna Monaco Magaddino, che inizia dalla sintesi del racconto dove la prospettiva gioca fra le due dimensioni delle linee perennementi fluttuanti e la terza ottenuta con le multiformi varietà tonali del bassorilievo, mentre la flessibilità della lamina metallica si appoggia al peso ed alla robustezza del supporto ligneo che diviene parte integrante dell'opera.

Successivamente il distacco progressivo dalla tensione realistica fa sì che la scena perda l'univocità della  superficie per spezzarsi ad ottenere la quarta dimensione nella successione dei piani, nei capitoli delle quinte in cui la scena trova sfogo ed equilibrio, e la composizione si snellisce, acquistando leggerezza. Infine il riscatto, sia dalla scuola, sia dalla tradizione, per il volo libero nell'ispirazione, senza più le pastoie della narrazione e della necessità di coerenza, e l'accostamento di materiali diversi e disomogenei, plexiglass ottone acciaio smalto legno.

E' il momento della maturità artistica, del traguardo ; raggiunto nella difficile realizzazione di un linguaggio autonomo e personale, nella nobilitazione dell'aspetto produttivo, dell'autografia della forma : per dare origine ad un organismo che prima non c'era ed ora contiene tutto il necessario per vivere da sé, anima compresa, con l'accostamento, per la sua creazione, accanto a quella materiale, dell'attività spirituale dell'artista, infine demiurgo.

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